giovedì 19 ottobre 2017

Come dipingere un'inverno di nero.

Ero li.
Avevo sei anni circa.
Vedevo solo il pavimento con gli occhi puntati verso il basso.
Si sentiva nell'aria come l'odore del mattino in montagna,
 la legna e l'erba intorno erano ricoperti da una brina cristallina e anche se non la vedevo, la immaginavo.
La luce era fioca e qualcuno si sentiva: l'avanzare del passo deciso, forse troppo deciso,
sicuramente indossava uno stivale.
All'improvviso tutto cessò di esistere e in un attimo ero in piedi sul letto, qualcuno o qualcosa mi stava fissando, occhi gialli luminosi e nasi da troll, quasi si confondevano da quanto erano vicini fra loro, nel mentre alzavo lo sguardo come per sforzarmi di guardare piu in fondo a quel muro della camera che si era trasformato in un anfiteatro si intravide una sagoma.
Era come se quei piccoli osservatori si fossero uniti tra loro, c'era solo buio, ma erano spariti.
Invece no.
Alzai gli occhi al soffitto e vederli ancora, piu grandi, piu gialli, più inquietanti.
Il male mi travolse, e assieme a quello anche la coscienza, probabilmente ero svenuto.

Come dipingere un'inverno di nero,
 che solo di nero sa esistere dentro di te,
 anche quando eri una luce.

Aprile,
 una nuova famiglia, una troupe colorata ed elegante allo stesso tempo,
 io appena rientrato nel club dei single,
 pulito,
ero a dir poco molto soddisfatto del risultato ottenuto.
3 traslochi, 3 posti diversi in 3 mesi,
le spese e i debiti quasi tutti saldati.

Mancavi solamente tu.

Del resto le amicizie le avevo eliminate, o meglio dire selezionate.

Da soli è perfetto,
ma non sono fatto per poter passare il tempo libero da solo, e dato che con gli amici il tempo libero si passava male avevo preso in considerazione l'idea di andare oltre.

Mi sentivo inutile al di fuori del lavoro, volevo un compagno.

Infatti mancavi solo tu,
e poco dopo averti conosciuto,
mi mancò tutto quanto insieme.

Lavoro,
 persone,
 sentimenti.

Eri solo tu,

eri apparso come un miraggio,
sembrava che le emozioni ti colassero dal viso come l'acqua sotto la doccia ti scivolava addosso per infrangersi per sempre sul fondo.
Ero io il tuo lui, tante volte lo ripetevi.
Io ti credevo,
eri la cosa piu bella e dolce che mi potesse capitare in quella notte che ormai si spegneva troppo in fretta con le prime luci dell'lba,
erano già le sei, ed ero ancora lontano dal lavoro.

Dovevo fare colazione,
imboccare l'autostrada ed arrivare a fuoco in negozio, come sempre del resto.
Ah che sciocco! Non mi ero reso conto.
Lui aveva già preparato la colazione,
era un Re per me in quel momento.
C'era un bel cappuccino e la brioches con tanto di mio nome sul fazzoletto,
non potevo non farla, era troppo carino come presentazione.

Non dovevo andare al lavoro mi continuava a dire.
Io lo guardai come per scherzo gli chiesi se era davvero sano di mente.
E lui rispose che non c sarei arrivato comunque quella mattina.
Mi voleva sequestrare.
Gli risposi uscendo che avevo gia passato abbastanza tempo nel suo bunker e che ero pronto a replicare.
Arrivai in negozio,
non trovavo i bottoni della camicia,
 entrai in bagno a controllare: non c'erano bottoni, era assurdo.
Pensavo di averla messa al contrario, toccai dietro la schiena: nessun bottone.
Ah già nel frattempo ero tornato anche biondo e allora li capii.
Cercai di nasconderlo, ma era inevitabile.
Sopratutto, abituati al mio carisma, ritrovarmi a dire le lettere delle parole piano per paura di non rimbalzarle e storpiarle  in un puzzle di frasi che avrei avuto difficoltà a comprendere io stesso.
Ci riuscivo, ma avevo un pò troppo la voce da uomo. (ahahaha).

Ecco perchè a volte è meglio saltare la colazione.
E se qualcuno che te la offre,
 dice che non saresti arrivato al lavoro quel giorno vi prego non andateci.

Lavoro saltato.

Eri solo tu a potermi far dipingere,
il mio amato inverno,
di nero,
e quando pensavo di poter averti per sistemare tutto, fu allora che persi tutto.

















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